Stanchezza.
Dopo giorni passati a peregrinare di rifugio in rifugio, di città in città, sentivo ormai di non avere più risorse da spendere. Un profondo torpore mi avvolgeva ogni qualvolta mi si rendeva necessario fermarmi. Ero certa che, presto o tardi, uno di questi attacchi mi avrebbe immobilizzata definitivamente. Rendendomi la più facile delle prede.
Non avevo scelta. Dovevo proseguire.
L'ultima speranza, il rifugio di quello che secoli prima era stato il mio Creatore, si trovava a pochi isolati di distanza.
Il Magister. La mia guida per più di duecento anni.
Lui certo già sapeva del mio arrivo.
Poteva percepire l'Aura della sua Ancilla a chilometri di distanza.
E di certo, aveva già predisposto ogni cosa.
Forse, dovevo smettere di preoccuparmi di quanto era accaduto solo cinque notti prima.
Ma dimenticare l'orrore non era facile.
Tutti i miei simili.
Molti compagni di mille scorribande notturne.
Tutti annientati.
Erano arrivati in silenzio.
Sapendo tutto del Tempio.
Ogni anfratto.
Ogni nascondiglio.
Quando ci accorgemmo di quello che stava succedendo, la Morte stava già calando la sua falce su molti di noi.
L'Arbiter era talmente incredulo di fronte a quella scena apocalittica, che neppure si avvide dei due licantropi che gli si stavano avventando contro.
Fu fortunato.
La sua morte fu orrenda.
Ma veloce.
Per molti altri non andò così.
Nel fuggire, potevo ancora sentirne le urla miserevoli, nonostante fossi ormai quasi giunta al ciglio della statale.
Ed erano più di due chilometri.
Neppure io so come sia stato possibile eludere la cerchia di Lupi che aveva circondato il tempio.
Neppure io so perchè sono fuggita.
In qualsiasi altra circostanza non avrei esitato a gettarmi nella pugna, a dispensare morte a tutti coloro che mi si fossero parati davanti.
Ma questa volta, l'orrore di quella scena, l'assenza di ogni speranza di sopravvivenza, azzerò la mia lucidità.
Sventrai a mani nude i due Lupi ancora intenti a cibarsi dell'Arbiter.
Non fu per vendicarlo.
Solo perché ostruivano il cammino verso l'unico passaggio che poteva essere sfuggito a chi ci stava annientando.
E, incredibilmente, dove avevano fallito poteri ed arti affinate in cinque secoli di lotte, quella piccola botola, quel pertugio mai da alcuno utilizzato, riuscì a salvare la mia non vita.
Cinque notti sono trascorse.
Cinque notti di fuga solitaria.
Cinque notti a chiedermi una cosa sola.
Perché.
Sapevo che molti tra gli Anziani ci consideravano dei reietti. Un'aberrazione.
Ma anche che i nostri Magistri ci avevano sempre protetti avanti al Consiglio.
Eravamo un'incredibile opportunità.
E laddove l'intera Comunità Vampirica si fosse trovata in crisi, noi saremmo stati parte della soluzione.
Non del problema.
Una cinquantina di Vampyr con sangue di Lupo.
Un potere immenso.
Questo avevano sempre sostenuto i Magistri.
Quelli stessi che non più di cinque notti prima, avevano fatto penetrare un'orda di Lupini nel nostro Tempio.
Li stessi che ci avevano sacrificati.
Non aveva senso.
Lui avrebbe saputo cosa fare.
Sì.
Lui sì.
Io ero troppo stanca.
L'ombra del palazzo che gli faceva da rifugio.
Ce l'avevo fatta.
All'ingresso, stranamente, nessuno mi venne incontro.
A me, che ero considerata la Principessa di quelle stanze.
Avrei dovuto capire che qualcosa non andava.
Ma il Torpore si stava impossessando dei miei arti.
Avevo bisogno di nutrirmi.
E di riposare.
Aroma di Sangue.
Intenso e profumato.
Forse la paranoia si era impadronita di me.
Che il mio Progenitore avesse davvero apprestato tutto per il mio arrivo?
Mi avrebbe accolto.
Ascoltato.
Spiegato.
Presa da un'incontrollabile ebbrezza sanguinis, mi capicollai nel salone dei ricevimenti, quasi sfondando quella porta di vetro smerigliato.
Fu a quel punto che capii da dove provenisse quell'afrore di Sangue.
Fu lì che Lo vidi.
Era stato crocifisso sul muro opposto del salone.
La sua testa, ai piedi del corpo.
Gli occhi vitrei,
Quegli stessi occhi che avevano gelato il sangue nero di decine di demoni,
Parevano terrorizzati dalla vista di qualcosa.
Qualcosa che era arrivato prima di me.
Qualcosa che, a passi lenti, camminava sul ballatoio sopra il salone.
Come se mi aspettasse.
Intorno a me, rumore di zanne Lupine.
Già pregustanti il tetro banchetto.
Era davvero finita.
Le mie speranze, infrante ad un passo dalla meta.
Le mie forze, esaurite.
La fuga, insensata.
Ma c'era ancora qualcosa.
Qualcosa di cui io sola ero a conoscenza.
Qualcosa che loro non potevano sapere.
Qualcosa che mi spinse a sorridere innaturalmente,
Mentre, colla lama in pugno,
La ripetevo nella mia mente,
Avviandomi verso i passi sopra di me.
Non ero l'ultima.
Io non ero l'ultima.
Poco più in alto,
Anche quelle che non potevano più definirsi delle labbra,
Sorrisero...
Lone Wolf