Berlino. Aprile 1945.
La città era ormai niente più di un campo di battaglia. Le piazze tramutate in trincee; le strade, sconvolte dai colpi dell'artiglieria russa, sono sommerse da nuvole di fumo in cui a malapena si intravedono figure di uomini. Pallide, lacere e disperate. Donne. Bambini.
La città adesso era anche affamata ed assetata. Non c'erano più viveri, mancava totalmente il pane. Da otto giorni era sospesa l'erogazione dell'acqua. La popolazione, che viveva ormai solo nelle cantine, pompava quella della Sprea, filtrandola.
Centoventi dei duecentoquarantotto ponti erano stati fatti saltare dai genieri tedeschi. Degli altri, quasi tutti erano già in mano sovietica. Quella che doveva diventare la capitale del Reich millenario e del mondo, non era ormai che una trappola senza uscite.
Come era stato per Stalingrad, era venuto anche per lui il momento di fuggire.
Non c'erano più vittime tali da valere la pena di correre quel rischio.
Gli umani sembravano perfettamente in grado di annichilirsi tra di loro.
Tribunali volanti delle SS giravano come ossessi in una notte che era ormai più chiara del giorno a causa degli incendi e dei bombardamenti.
Fucilavano o impiccavano chiunque venisse trovato per le strade.
Anziani.
Ragazzini.
Chiunque sembrasse anche solo lontanamente abile al fronte (che ormai era a soli quattro o cinquecento metri dalla Cancelleria) vi veniva avviato. Se non era in grado di muoversi, lo giustiziavano sul posto.
Molti anni dopo, in effetti, avrebbero stabilito che nella battaglia di Berlino morirono più tedeschi per mano nazista che russa. Circa 150.000, comunque.
Ma questo non mi importava, adesso.
Che Hitler ed i suoi maiali marcissero nel loro troglo a 30 metri sotto terra.
Io dovevo solo fuggire da quell'inferno.
Mi unii ad un gruppo di ufficiali di alto rango che mi scambiarono per un colonnello.
La divisa era stata la mia ultima preda, la notte precedente.
Contavano di raggiungere la Sprea e di attraversarla al ponte Wiedendammer dove uno degli ultimi reparti corazzati ancora operativi stava tentando di incunearsi nelle linee sovietiche. Al di là del fiume, lo Schleswig-Holstein. La Danimarca. Una speranza.
Giunti al ponte, ci infilammo nella scia dei panzer. Un certo Bormann (che pareva guidare il gruppetto) camminava dietro al carro di testa. Io lo seguivo a ruota.
Non vedevo neppure le bocche da fuoco sovietiche.
Ne sentivo soltanto il boato.
La torretta del Tiger si aprì di botto.
Il carrista era nero di fuliggine in viso.
«Fuggite, pazzi! Sono troppi!»
Altro boato.
Questa volta più vicino.
Un attimo dopo, il boccaporto della torretta vomitò una fiammata che in un lampo avvolse il carrista.
Urla strazianti.
Il carro al mio fianco che saltava in aria.
I resti di quello che era stato l'equipaggio del panzer, addosso a tutti noi.
Panico.
Bormann comincia ad urlare. E' pieno di sangue.
E non molto è suo.
Si lancia all'indietro.
La puntata è fallita.
Nessun carro sopravvissuto.
Il ponte non è che un cimitero.
I russi caricano alla baionetta.
A respingerli sono ragazzini e vecchi ottuagenari del Volkssturm, la milizia popolare.
E' un nuovo massacro.
Un paio di fucilieri della Guardia mi si parano davanti.
Sto cominciando ad irritarmi.
Il sole monterà presto.
Sono solo due ragazzi.
A Mosca o a Smolensk avranno certo una ragazza, un padre, una madre.
Fatti loro.
Un attimo dopo i loro brandelli si inabissano nella Sprea.
Ed io con loro.
I russi non controlleranno un fiume che è noto per non dar scampo a chiunque debba respirare per vivere.
Una via di fuga perfetta, dunque.
A questo pensiero puerile, riuscii persino ad abbozzare un sorriso.
E mentre mi lasciavo trascinare sottacqua dalla corrente, con un ultimo sguardo abbracciai le rovine della città che avevo tanto amato.
E che adesso, non esisteva più.
Sopra di lui, a migliaia di metri di quota, il marconista di uno YAK sovietico segnalava al Quartier Generale: «Ore 04:42. Su Berlino, cessato ogni segno di resistenza».
La città adesso era anche affamata ed assetata. Non c'erano più viveri, mancava totalmente il pane. Da otto giorni era sospesa l'erogazione dell'acqua. La popolazione, che viveva ormai solo nelle cantine, pompava quella della Sprea, filtrandola.
Centoventi dei duecentoquarantotto ponti erano stati fatti saltare dai genieri tedeschi. Degli altri, quasi tutti erano già in mano sovietica. Quella che doveva diventare la capitale del Reich millenario e del mondo, non era ormai che una trappola senza uscite.
Come era stato per Stalingrad, era venuto anche per lui il momento di fuggire.
Non c'erano più vittime tali da valere la pena di correre quel rischio.
Gli umani sembravano perfettamente in grado di annichilirsi tra di loro.
Tribunali volanti delle SS giravano come ossessi in una notte che era ormai più chiara del giorno a causa degli incendi e dei bombardamenti.
Fucilavano o impiccavano chiunque venisse trovato per le strade.
Anziani.
Ragazzini.
Chiunque sembrasse anche solo lontanamente abile al fronte (che ormai era a soli quattro o cinquecento metri dalla Cancelleria) vi veniva avviato. Se non era in grado di muoversi, lo giustiziavano sul posto.
Molti anni dopo, in effetti, avrebbero stabilito che nella battaglia di Berlino morirono più tedeschi per mano nazista che russa. Circa 150.000, comunque.
Ma questo non mi importava, adesso.
Che Hitler ed i suoi maiali marcissero nel loro troglo a 30 metri sotto terra.
Io dovevo solo fuggire da quell'inferno.
Mi unii ad un gruppo di ufficiali di alto rango che mi scambiarono per un colonnello.
La divisa era stata la mia ultima preda, la notte precedente.
Contavano di raggiungere la Sprea e di attraversarla al ponte Wiedendammer dove uno degli ultimi reparti corazzati ancora operativi stava tentando di incunearsi nelle linee sovietiche. Al di là del fiume, lo Schleswig-Holstein. La Danimarca. Una speranza.
Giunti al ponte, ci infilammo nella scia dei panzer. Un certo Bormann (che pareva guidare il gruppetto) camminava dietro al carro di testa. Io lo seguivo a ruota.
Non vedevo neppure le bocche da fuoco sovietiche.
Ne sentivo soltanto il boato.
La torretta del Tiger si aprì di botto.
Il carrista era nero di fuliggine in viso.
«Fuggite, pazzi! Sono troppi!»
Altro boato.
Questa volta più vicino.
Un attimo dopo, il boccaporto della torretta vomitò una fiammata che in un lampo avvolse il carrista.
Urla strazianti.
Il carro al mio fianco che saltava in aria.
I resti di quello che era stato l'equipaggio del panzer, addosso a tutti noi.
Panico.
Bormann comincia ad urlare. E' pieno di sangue.
E non molto è suo.
Si lancia all'indietro.
La puntata è fallita.
Nessun carro sopravvissuto.
Il ponte non è che un cimitero.
I russi caricano alla baionetta.
A respingerli sono ragazzini e vecchi ottuagenari del Volkssturm, la milizia popolare.
E' un nuovo massacro.
Un paio di fucilieri della Guardia mi si parano davanti.
Sto cominciando ad irritarmi.
Il sole monterà presto.
Sono solo due ragazzi.
A Mosca o a Smolensk avranno certo una ragazza, un padre, una madre.
Fatti loro.
Un attimo dopo i loro brandelli si inabissano nella Sprea.
Ed io con loro.
I russi non controlleranno un fiume che è noto per non dar scampo a chiunque debba respirare per vivere.
Una via di fuga perfetta, dunque.
A questo pensiero puerile, riuscii persino ad abbozzare un sorriso.
E mentre mi lasciavo trascinare sottacqua dalla corrente, con un ultimo sguardo abbracciai le rovine della città che avevo tanto amato.
E che adesso, non esisteva più.
Sopra di lui, a migliaia di metri di quota, il marconista di uno YAK sovietico segnalava al Quartier Generale: «Ore 04:42. Su Berlino, cessato ogni segno di resistenza».
17 commenti:
Siete veramente bravi con i racconti storici.
Bravi davvero.
Mi associo a Dyo, bravo, sono contenta pure del tuo ritorno al blog :))
Che piacere ritrovarti con questo splendido racconto..e con Timbaland in sottofondo..mi sei mancato caro!
bacione!
:-D
grazie per questa parentesi di riflessione, che mi distoglie dal mio cazzeggio perpetuo, e vedi di non sparire più
mitooooooooo!
Sei mancato..... Bestes on the top of the wave!!!!
@ Dyo: bravI? Ad ogni modo ti ringrazio anche a nome degli "altri", Dyo. Bentornata in Tana.
@ Inenarrabile: grazie di cuore. Ne sono lieto anch'io.
@ Angie: anche tu, cara. Visto che sei sparita per un tempo forse maggiore..;)
@ Dressel: e così tu, per il futuro. :D
@ Pibe: olllè! Pibe forever namber uan!
Oh, finalmente ce l'hai fatta a tornare, e nel migliore dei modi! Bello il racconto, bella un'anima diversa in mezzo a quella distruzione.
Alla prossima ;)
uao, bello!! ^___^
un ritorno in pompa magna!
@ Alzata con pugno: grazie infinite. Conosco molto bene quel periodo storico e quei frangenti. Mi stuzzicava l'idea di inserirci un racconto sul soprannaturale..
@ Bdp: YEAH!! ;)
solo una cosa: ERA ORA!!!!!
grazie wolf...sei sempre IDOLO!!!!!!
complimenti!!! ;)
Complimentissimi...
Bentornato!
Saluti
Beh, ma complimenti! A quando una collaborazione così il "bravi" di dyo ci starebbe alla grande? ;)
@ Prescia: grazie cara. Ci sono delle correzioni da fare, però. Mi ci metto volante appena ho un secondo.. :D
@ Morwsna: Eccola! Bentornata a te. In Tana.
@ Baol: Mmmmmh! L'idea (pur cozzando col "Lone") è ideosa. Parliamone.. ;)
Ciao buona giornata. Tutto bene
Un abbraccio grandissimo! Kisssssssss
Anche a te!! :D
EVVIVA!!!
Finalmente sei tornato... con un nuovo post... perdipiù pazzesco!!! L'ho letto tutto d'un fiato, quindi aspetta che faccio qualche respiro profondo....
Aaaaah... ora va meglio... ti mando il bacio della buonanotte -----* SMUACK!
Ops, scusami... ho sputacchiato...
un ululato affettuoso. ;)
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